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Pretty Cure: vent’anni per le leggendarie guerriere di Toei

Pretty Cure: vent’anni per le leggendarie guerriere di Toei

Dal 1997, anno in cui sono finiti il manga e la serie televisiva di Sailor Moon, sia Kodansha che Toei hanno cercato disperatamente di trovare un erede, una serie dello stesso genere che potesse ottenerne lo stesso, duraturo, successo. Ma né Cutie Honey Flash, né Kamikaze Kaito Jeanne, né Tokyo Mew Mew, né Mermaid Melody, tutte serie animate prodotte da Toei o col manga pubblicato su Nakayoshi di Kodansha, sono riuscite a imporsi per più di al massimo un paio d’anni, ben lontane dal periodo di cinque anni e dall’enorme successo delle guerriere con la marinaretta.
Solo la saga di Doremi è riuscita a tenere banco per ben quattro anni fra il 1999 e il 2002: è una serie di Toei, da cui è tratto un manga pubblicato su Nakayoshi, c’è un gruppo di ragazzine che si trasformano in streghette dai poteri magici, ma il target è più basso rispetto a quello di Sailor Moon e questi poteri non vengono utilizzati per combattere il male.
 

Serviva qualcosa di nuovo, che prendesse il genere delle guerriere magiche e vi aggiungesse elementi nuovi, freschi. La risposta arriva con Pretty Cure (“Futari wa Pretty Cure”, “Noi due siamo le Pretty Cure”), che Toei lancia esattamente vent’anni fa, il 1 febbraio 2004, corredato da un manga disegnato dalle gemelle Futago Kamikita e pubblicato su Nakayoshi di Kodansha. La fascia scelta è, ancora una volta, quella delle otto e mezza della domenica mattina su TV Asahi, che dal 1984 era esclusivo appannaggio di Toei e dov’erano passate sia tutte le serie di Doremi, sia titoli famosi come Memole, le varie serie di Maple Town, Marmalade Boy, Gokinjo Monogatari, Hanayori Dango, Mikami. Sulla stessa fascia era appena stato concluso, con scarso successo, Nadja Applefields, tardivo discendente dei vecchi cartoni animati di orfanelle girovaghe, troppo fuori dal tempo per imporsi fra il giovane pubblico degli anni 2000. Serviva qualcosa di nuovo, che attirasse i giovani parlando il loro linguaggio.
Il produttore Takashi Washio non aveva alcuna idea di come si realizzasse un programma per bambini, ma ha pensato che, visto che si trattava di guerriere che combattevano, sarebbe stata una buona idea ibridare le maghette col genere delle arti marziali, inserendo nella serie molte scene d’azione, ed è in questo modo, puntando molto sulle scene d’azione, che la serie viene pubblicizzata. Ha persino scelto due protagoniste perché influenzato dai “buddy movie” all’americana.
Del resto, lo staff è praticamente composto da gente che aveva in precedenza lavorato a serie per un pubblico maschile e d’azione: il regista Daisuke Nishio viene da Kindaichi, ma soprattutto da Dragon Ball, Dragon Ball Z e Air Master (misconosciuta miniserie di combattimenti che è stata però di grande influenza sulle scene d’azione di Pretty Cure), il character designer Akira Inagami ha lavorato a Dragon Ball Z, Dragon Ball GT, Dragon Quest: Dai no daibouken, oltre che a Doremi e a Luna, principessa argentata, che sono più vicine alla parte “rosa” di Pretty Cure.
 

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Protagoniste sono due ragazze davvero speciali. La prima, Nagisa Misumi, è allegra, golosa, mascolina, negata negli studi ma asso della squadra di lacrosse della scuola. La seconda, Honoka Yukishiro, è invece timida, taciturna, dolce e studiosa, appassionata di scienze. Entrambe frequentano la seconda media nel prestigioso istituto femminile Verone, ma non si erano mai parlate pur facendo parte della stessa classe, poiché appartenevano a due mondi completamente agli antipodi. Questo almeno fino all’incontro con Mepple e Mipple, due bizzarri folletti scappati da un regno fatato chiamato il Giardino della Luce, ora minacciato dalle oscure forze di Re Jaaku. Mepple e Mipple rivelano alle due ragazze una sconvolgente verità: Nagisa e Honoka sono le prescelte e dovranno difendere il Giardino della Luce e la Terra stessa dalle perfide trame del Re Jaaku, trasformandosi nelle due guerriere della leggenda, le Pretty Cure.  
 

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L’impianto base degli episodi si ripete per praticamente tre quarti della serie (battaglia col boss esclusa) in maniera identica, variando soltanto gli eventi quotidiani di contorno e i nemici coinvolti. Siamo ben lontani da Sailor Moon e dalle sue trame spesso articolate, ricche di colpi di scena e di battaglie epiche e coinvolgenti contro i “boss di fine saga”. La trama di Pretty Cure procede ad un ritmo davvero lento, i colpi di scena sono ridotti all’osso e l’eliminazione dei vari sottoposti del cattivo avviene in maniera convenzionalissima, senza troppi guizzi.
Tuttavia, nonostante il 95% degli episodi siano tutti uguali fra di loro, Pretty Cure riesce a colpire e a tenere lo spettatore incollato allo schermo, a divorare episodi dopo episodi, nonostante manchi una trama serrata che lo coinvolga in maniera viscerale.
Merito di un’ottima caratterizzazione dei personaggi. Gli autori riescono a caratterizzare Nagisa e Honoka in maniera straordinaria. Queste due ragazze, completamente differenti fra di loro, si apriranno completamente agli spettatori, i quali potranno così conoscerne non soltanto il carattere, le passioni, le attitudini, i sentimenti, la vita scolastica, le abitazioni e le famiglie ma anche assistere alla loro reciproca evoluzione caratteriale nel corso della serie e alla nascita di un’amicizia profonda e toccante, fatta di gioie e di dolori, di pianti e di risate, di litigi e riappacificazioni, di battaglie e confidenze. Tutto ciò, narrato con uno stile rilassato, divertente, delicato e davvero piacevole da seguire.
Grande importanza è posta, infatti, alla dualità delle due ragazze, che sono completamente opposte in ogni cosa, ma anche ottime amiche, e da questa amicizia sincera e appassionata scaturisce la loro forza. Non è un caso, infatti, se i due colori predominanti sono il nero, più inquieto, per la scalmanata Nagisa e il bianco, più tranquillo, per la silenziosa Honoka; e non è casuale neppure il fatto che per trasformarsi o sferrare il loro colpo finale le due ragazze debbano per forza essere insieme e stringersi saldamente le mani.  
 
Tuttavia, non sono solo Nagisa e Honoka ad essere splendidamente dipinte, stessa sorte tocca all’altro lato della barricata. Ognuno dei cattivi incontrati dalle protagoniste avrà un proprio aspetto fisico, una propria caratterizzazione, delle proprie motivazioni e degli elementi che lo differenzieranno dagli altri e che, tramite dialoghi con le protagoniste, contribuiranno a renderlo più umano e più vicino agli spettatori. Menzione speciale va poi agli spassosissimi Zakenna, i demoni minori che sono uno degli elementi comici più riusciti e le vere star della serie tutta. Certo, si tratta di personaggi molto semplici, un po’ acerbi in confronto a ciò che si era visto in serie simili uscite in precedenza e a ciò che il franchise Pretty Cure offrirà in seguito, ma funzionano.
Ma non solo. Gli autori ci sorprendono ancora e donano una caratterizzazione davvero ottima anche a tutto il cast di comprimari che ruota intorno ai protagonisti: familiari, amici, compagni di scuola, professori, personaggi di contorno.
La città in cui Nagisa e Honoka risiedono è viva. Non è solo un mero sfondo alle vicende, ma è un mondo pulsante, abitato da persone che si muovono autonomamente anche se la battaglia contro Re Jaaku non li coinvolge in prima persona, che hanno dei sogni, che si divertono, che amano, che soffrono, che crescono, che lottano nel loro piccolo contro la vita. Nonostante gli episodi tutti simili fra loro e la trama che si sviluppa lenta e priva di colpi di scena, è bellissimo perdersi in questo mondo, sviscerarne gli aspetti, le sfaccettature, gli abitanti, come se fosse il mondo in cui vive lo spettatore.  

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Ma Pretty Cure è anche e soprattutto una serie in cui si combatte, e i combattimenti sono davvero uno degli aspetti migliori della storia, grazie anche al fatto che le due guerriere, con la trasformazione, acquisiscono anche una particolare agilità che permette loro di saltellare qua e là, di librarsi in aria e di dar giù di pugni e calci, oltre che di compiere il loro bell’attacco magico in coppia. Una dimensione senza dubbio insolita per una serie di maghette, più simile ai sentai in carne ed ossa o a Dragon Ball Z che a Sailor Moon, ma che ha fatto centro, affascina e piace allo spettatore, rendendo i combattimenti una vera e propria gioia per gli occhi ed estremamente debitori di serie precedenti come Dragon Ball Z: aure luminose, urla, raffiche di pugni, distruzione dell’ambiente circostante, muscoli che si gonfiano, infatti, non mancano.
 

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Lo stile di disegno è semplice e minimalista, simile per certi versi a quello di Doremi, ma più complesso, date le tematiche più profonde e la presenza di personaggi mostruosi e cattivi. In ogni caso, si tratta di disegni molto gradevoli e capaci di donare una spiccata personalità ad ognuno dei personaggi ritratti, oltre che di dipingere un realistico affresco del Giappone giovanile degli anni 2000.
I colori sono molto accesi e vividi e vi sono animazioni molto fluide e piacevoli e, talvolta, effetti speciali in computer grafica non troppo invasivi, anche se oggi chiaramente risulta tutto abbastanza datato.
Il comparto sonoro, poi, è davvero azzeccato e ci dona una serie di splendide melodie orchestrate ad opera di Naoki Sato (che curerà la musiche del franchise da qui alla quinta serie), che si adattano perfettamente al tipo di scena che di volta in volta accompagnano, e una serie di canzoni veramente belle, a cominciare dalle due allegre e spensierate sigle “Danzen!! Futari wa Pretty Cure!!” (ancora oggi famosissima e utilizzata, con un nuovo arrangiamento, anche come sigla del sequel) e “Gecchu?! Rabu rabu!!” (manifesto di un modo di fare Pretty Cure che oggi, vent’anni dopo, è molto cambiato, dato che nelle serie recenti le sigle finali non mostrano più i cattivi o i personaggi di contorno e di certo non parlano più d’amore e di bei ragazzi come invece succede qui), fino ad arrivare alle molteplici canzoni che spesso e volentieri accompagneranno le scene clou degli episodi e che si riveleranno inaspettatamente efficaci, variegate e piacevoli all’ascolto.
 
Pretty Cure ha riscosso un’ottimo successo, tanto che, nonostante fosse stato preparato una sorta di finale verso metà serie in caso di scarsi ascolti, non c’è stato bisogno di interrompere la programmazione, che è andata avanti per un anno e 49 episodi e, anzi, la vicenda di Nagisa e Honoka è andata avanti anche l’anno successivo con Pretty Cure Max Heart, da cui sono stati tratti ben due lungometraggi per il cinema. Inoltre, lo schema di due ragazze complementari che ingaggiano incredibili combattimenti fisici con nemici pompati viene riutilizzato e portato all’estremo nella successiva terza serie Pretty Cure Splash Star del 2006, sia pure con personaggi diversi da Nagisa e Honoka. Il pubblico giovane ha amato le due protagoniste ed è corso in massa ad acquistare i molteplici gadget realizzati da Bandai, mentre il pubblico più adulto, anche maschile, si è fatto incantare dalle scene d’azione e dal rapporto di forte amicizia fra le due protagoniste, raccontato in maniera delicata, che ha suscitato molte fantasie e dato origine a numerose doujinshi.  
 

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A guardarla oggi, con la consapevolezza dell’impero che è venuto dopo (venti serie, con la serie numero 21 in partenza questa settimana), questa prima serie risulta lontana, acerba: solo due protagoniste; la protagonista non è di colore rosa, è sportiva, mascolina e priva di particolari fisse, ma è innamorata di un compagno di scuola; non ci sono troppi scettri e oggettini da usare nelle battaglie, che vengono invece risolte a pugni e calci; i personaggi non hanno capelli di colori e fogge assurde; la grafica è datata; la trama si risolve in tre righe e il 95% degli episodi sono filler; i personaggi non sono particolarmente complessi né ci sono particolari sviluppi. Tuttavia, Pretty Cure ha ancora un fascino tutto suo proprio per questo: i disegni sono molto più dettagliati di certe serie successive dove sono molto approssimativi, ancora più semplici e caricaturali; è tutto molto semplice; l’ambientazione urbana è riconducibile alla più classica delle metropoli giapponesi (a differenza delle serie successive, ambientate in città di fantasia con elementi più particolari) ed è trattata con molto realismo, così come realistici sono i rapporti fra i personaggi e il timido (che non sboccerà, rendendolo ancora più realistico) amore fra Nagisa e il suo senpai; non c’è un tema unico (serie successive saranno incentrate sulla musica, sugli animali, sui fiori, sui dolci…); l’universo narrativo è vivo e ricco di tanti personaggi di contorno che si fanno ricordare, in una maniera che non sempre sarà replicata in serie successive dove non ci saranno altri personaggi di peso a parte eroine, folletti e cattivi. Soprattutto, Nagisa e Honoka restano iconiche, determinate scene e inquadrature di questa serie verranno citate, parodiate, ricordate innumerevoli volte in serie successive, specialmente nei tanti film o episodi crossover, dove a Nagisa e Honoka in qualche modo viene sempre lasciato un posto di riguardo. Molti fan rimpiangono la semplicità, gli scontri fisici, l’universo narrativo vivo e ricco di questa prima serie, e vi sono rimasti molto legati, essendo il loro primo contatto con una saga che li ha cresciuti, insegnandogli valori di amicizia, impegno, lealtà, amore e compassione.
E’ riuscito a diventare l’erede di Sailor Moon? A livello commerciale, sicuramente sì, dato che il franchise è durato complessivamente ben oltre i cinque anni delle avventure di Usagi e compagne, anche se non è riuscito a imporsi allo stesso modo fuori dai confini dell’Asia. Ma, ci ha detto Hisashi Kagawa, che ha lavorato alla serie Fresh Pretty Cure del 2009 e a molte altre incarnazioni della saga, in un’intervista di qualche anno fa, è difficile paragonare Sailor Moon e Pretty Cure: il genere è lo stesso, ma il target di quest’ultimo è molto più basso, le eroine non pensano all’amore ma solo a star bene con le proprie amiche (infatti, l’elemento romantico sparirà quasi del tutto nelle serie successive e non è mai stato troppo preponderante, al contrario di Sailor Moon dov’è il fulcro della storia).  
 
Vale la pena spendere due parole anche sull’edizione italiana: la serie arriva sulla Rai nel 2005, con un ottimo adattamento che mantiene tutti i nomi originali giapponesi, ha poche censure (ci siamo giusto persi le canzoni interne agli episodi), ha un ottimo doppiaggio (le due protagoniste sono Perla Liberatori e Monica Vulcano) e persino la sigla è cantata sulla base di quella giapponese. All’epoca della prima serie è uscito diverso merchandise nei negozi, ma purtroppo Pretty Cure non è riuscito a imporsi più di tanto in Italia (dove la stessa Rai le faceva concorrenza interna con Winx Club), perciò le serie successive hanno avuto molta meno risonanza, e anche questa prima serie non ha riscosso l’incredibile successo ottenuto in Asia. Ad oggi, pare che Rai abbia perso i diritti del franchise, ma la prima serie è visibile in versione sottotitolata su Crunchyroll.

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